Storia recente - I "Fatti di Reggio"
Per molte ragioni tra cui il fatto che Reggio è una delle città più antiche d'Italia, il cuore politico e religioso della Calabria, nonché la città più antica e popolosa della regione, essa è sempre stata ritenuta da molti la città più importante tra quelle della moderna Calabria.
Per questi motivi, nell'Italia repubblicana, è stata sempre ufficiosamente indicata da testi e pubblicazioni come capoluogo della regione fino al 1970, anno in cui, con l'istituzione ufficiale della regione Calabria, Catanzaro fu scelta come capoluogo. Ufficialmente la decisione fu presa per ragioni di collocazione geografica[senza fonte], ma secondo molti (opinione pubblica, stampa e studiosi) questo spostamento avvenne per ragioni politiche e fu una scelta discutibile, soprattutto alla luce della storia seguente che dimostrò l'isolamento politico-amministrativo nei decenni successivi.
Questa scelta provocò la rivolta dei Reggini che portò ai "Moti di Reggio" (luglio 1970 - aprile 1971) durante i quali i cittadini protestarono duramente resistendo alla repressione militare messa in atto dallo stato, con atti di "guerriglia urbana", fiancheggiati dal sindaco democristiano Pietro Battaglia e dal leader della rivolta Ciccio Franco, il quale utilizzò in tale occasione lo slogan "Boia chi molla" (di D'Annunziana Memoria). I moti furono duramente repressi dal massiccio intervento di Carabinieri, Polizia e reparti dell'Esercito Italiano, con un bilancio complessivo di 5 morti (in circostanze ignote tuttora non del tutto chiare), centinaia di feriti e migliaia di arresti.
La rivolta si esaurì anche a seguito di alcune scelte di compromesso politico da parte del Governo Italiano: la città è oggi sede del Consiglio Regionale della Calabria, pur non essendone il capoluogo di regione. Altre promesse del Governo, tra cui la costruzione di nuovi impianti per il rilancio industriale e commerciale infatti non furono mai attuate, rivelandosi quindi secondo l'opinione pubblica mere promesse di circostanza.
A seguito dei moti reggini seguì un periodo di grande difficoltà economica e politica: con il passare degli anni la città cadde in un profondo stato di torpore, di appiattimento sociale e culturale (degrado urbano, abusivismo edilizio, guerre di mafia), con molte promesse governative di sviluppo non mantenute come il mancato decollo dei poli industriali di Saline Joniche e di Gioia Tauro, la crisi delle attività agricole tradizionali, quindi l'intensificarsi del flusso migratorio, soprattutto giovanile, in direzione delle regioni del Centro-Nord.
La "Primavera di Reggio"
Reggio Calabria - Lungomare Falcomatà con Etna sullo sfondo
Questo periodo durò all'incirca fino alla fine degli anni '80 finché non cominciò la cosiddetta "Primavera di Reggio" con il sindaco Italo Falcomatà, il quale con straordinaria forza d'animo e l'esortazione a "Reinnamorarsi di Reggio" riempì gli animi dei cittadini dando vita ad un periodo di forte rinascita.
Nel 1982 l'Università degli studi di Reggio (nata nel 1968) diventa università statale, ed oggi prende il nome di Università degli Studi "Mediterranea". Negli anni '90 sotto Falcomatà la città assiste ad una ripresa socio-culturale del territorio, vengono portati a termine i lavori (fermi da più di venti anni) sul lungomare, ammirato e decantato da Gabriele D'Annunzio come "il più bel chilometro d'Italia", che dopo la scomparsa del sindaco prenderà il suo nome. Oggi sotto l'amministrazione Scopelliti la città guarda con rinnovata fiducia al futuro e finalmente gioisce per l'importante riconoscimento di "Città Metropolitana".
REGGIO CALABRIA : LA ZONA PIU' SISMICA D'ITALIA E DEL MEDITERRANEO
Questo e' un video che racconta approsimativamente il terremoto/maremoto del 1908 a Reggio Calabria e Messina in ricorrenza del suo centenario
Il terremoto di Reggio Calabria, spesso citato anche come terremoto di Messina e Reggio del 1908 o terremoto calabro-siculo del 1908, è considerato uno degli eventi più catastrofici del XX secolo. Si verificò alle ore 5:21 del 28 dicembre 1908 e in 37 "interminabili" secondi danneggiò gravemente le città di Messina e Reggio Calabria.
Le registrazioni del sisma tramite i sismografi
La notte, i sismografi registrarono il verificarsi di un terremoto di grande magnitudo. Il sisma è inquadrabile settorialmente in una zona probabilmente ubicata in Italia. Nessuna ulteriore informazione disponibile, solo le tracce marcate dai pennini sui tabulati degli osservatori sismici che gli studiosi cominciarono velocemente ad analizzare ed interpretare. I telegrafi cominciarono a ticchettare in attesa di ottenere e scambiare notizie. Così, prima di ottenere una qualsivoglia comunicazione ufficiale molte nazioni del mondo e l’Italia stessa, furono informate attraverso la strumentazione scientifica del terremoto del 1908 che devastò Messina e Reggio Calabria. I sismografi misero in evidenza solo la grande intensità delle scosse senza consentire però agli specialisti di individuare con altrettanta certezza la specifica localizzazione e solo di immaginare, ovviamente, i possibili danni provocati da un sisma di quella intensità. Gli addetti all’osservatorio Ximeniano annotarono:
« Stamani alle 5:21 negli strumenti dell'Osservatorio è incominciata una impressionante, straordinaria registrazione: “Le ampiezze dei tracciati sono state così grandi che non sono entrate nei cilindri: misurano oltre 40 centimetri. Da qualche parte sta succedendo qualcosa di grave. »
I luoghi
La Calabria meridionale e l'area dello Stretto di Messina sono zone ad elevata sismicità; risultano infatti colpite da almeno 8 eventi sismici di magnitudo pari o superiore a 6 in epoca storica.[1] La particolare criticità dell'area è determinata dal fatto che è sede di numerosi centri abitati tra cui due di grandi dimensioni:
* Messina, città portuale della Sicilia, di antichissima origine, è situata sulla costa occidentale dell'omonimo stretto e dista circa 3 km dalla sponda calabrese. Il terremoto del 1783 distrusse gran parte della città.
* Reggio Calabria, anch'essa di origini remote e importante in periodo greco ed altomedievale, rimase anch'essa pressoché distrutta dal terremoto del 1783 che determinò la successiva riedificazione di molti dei suoi quartieri secondo un nuovo piano regolatore e con criteri innovativi, che persistono tuttora.
Gli avvenimenti
Alle ore 5,21 del 28 dicembre 1908, lunedì, ancora al buio e con gran parte della popolazione ancora a dormire, un sisma (uno dei più potenti della storia italiana), che raggiunse i 7,1 gradi della scala Richter [2] (circa 11-12 gradi della scala Mercalli), seguito da un maremoto, sconvolse le coste calabro-sicule con scosse devastanti. Messina vide crollare il 90% degli edifici, e fu praticamente rasa al suolo. Gravissimi i danni riportati da Reggio Calabria e da molteplici altri centri abitati del circondario. Sconvolte le vie di comunicazione stradali e ferroviarie nonché le linee telegrafiche e telefoniche. L’illuminazione stradale e cittadina venne di colpo a mancare a Messina, Reggio Calabria, Villa San Giovanni e Palmi, a causa dei guasti che si produssero nei cavi dell’energia elettrica e della rottura dei tubi del gas.
Le testimonianze dell'epoca
La relazione al Senato del Regno – datata 1909 – sul terremoto di Messina è agghiacciante: «Un attimo della potenza degli elementi ha flagellato due nobilissime province – nobilissime e care – abbattendo molti secoli di opere e di civiltà. Non è soltanto una sventura della gente italiana; è una sventura della umanità, sicché il grido pietoso scoppiava al di qua e al di là delle Alpi e dei mari, fondendo e confondendo, in una gara di sacrificio e di fratellanza, ogni persona, ogni classe, ogni nazionalità. È la pietà dei vivi che tenta la rivincita dell’umanità sulle violenze della terra. Forse non è ancor completo, nei nostri intelletti, il terribile quadro, né preciso il concetto della grande sventura, né ancor siamo in grado di misurare le proporzioni dell’abisso, dal cui fondo spaventoso vogliamo risorgere. Sappiamo che il danno è immenso, e che grandi e immediate provvidenze sono necessarie».
Giovanni Pascoli, che fu docente universitario a Messina e frequentava spesso Reggio essendo amico di Diego Vitrioli scrisse:
« Qui dove tutto è distrutto, rimane la poesia. »
I siciliani ed i calabresi vennero immediatamente soccorsi da navi russe ed inglesi di passaggio, mentre gli aiuti italiani arrivarono, con stupore della stampa, solo dopo una settimana. Tra le prime squadre di soccorso che giunsero a Reggio vi fu quella proveniente da Cosenza, guidata dall’esponente socialista Pietro Mancini che dichiarò:
« Le descrizioni dei giornali di Reggio e dintorni sono al di sotto del vero. Nessuna parola, la più esagerata, può darvene l’idea. Bisogna avere visto. Immaginate tutto ciò che vi può essere di più triste, di più desolante. Immaginate una città abbattuta totalmente, degli inebetiti per le vie, dei cadaveri in putrefazione ad ogni angolo di via, e voi avrete un’idea approssimativa di che cos’è Reggio, la bella città che fu. »
E ancora i giornali scrissero:
« Oramai non v’è dubbio che, se a Reggio fossero giunti pronti i soccorsi, a quest’ora non si sarebbero dovute deplorare tante vittime. »
« Si è assodato che Reggio rimase per due giorni in quasi completo abbandono. I primi ad accorrere il giorno 28 in suo soccorso vennero a piedi da Lazzaro – insieme al generale Mazzitelli ed a poche centinaia di soldati: furono i dottori Annetta e Bellizzi in unione ai componenti la squadra agricola operaia di Cirò, forte di 150 uomini accompagnati dall’avv. Berardelli di Cosenza. Questa squadra ebbe contegno mirabile e diede aiuto alle migliaia di feriti giacenti presso la stazione. Gli stessi operai provvidero allo sgombero della linea ferroviaria favorendo la riattivazione delle comunicazioni ferroviarie. Appena giunti furono circondati da una turba di affamati ed il pane da essi portato veniva loro strappato letteralmente dalle mani. Sicché essi dovettero patire la fame fino al giorno 30 quando cominciò l’arrivo delle navi. »
Luoghi pubblici
A Reggio Calabria andarono distrutti diversi edifici pubblici. Caserme ed ospedali subirono gravi danni, 600 le vittime del 22° fanteria dislocate nella caserma Mezzacapo, all'Ospedale civile, su 230 malati ricoverati se ne salvarono solo 29.
A Bagnara di Calabria crollarono numerose case. A Palmi andò distrutta la chiesa di San Rocco. A Trifase nei pressi di Catanzaro si ebbero molti danni ma fortunatamente pochi gli scomparsi data la modesta dimensione delle abitazioni. In Sicilia si ebbero crolli a Maletto, Belpasso, Mineo, S. Giovanni di Giarre, Riposto e Noto. A Caltagirone crollò per metà il quartiere militare.
A Messina, maggiormente sinistrata, rimasero sotto le macerie ricchi e poveri, autorità civili e militari. Nella nuvola di polvere che oscurò il cielo, sotto una pioggia torrenziale ed al buio, i sopravvissuti inebetiti dalla sventura e semivestiti non riuscirono a realizzare immediatamente l’accaduto. Alcuni si diressero verso il mare, altri rimasero nei pressi delle loro abitazioni nel generoso tentativo di portare soccorso a familiari ed amici. Qui furono colti dalle esplosioni e dagli incendi causati dal gas che si sprigionò dalle tubature interrotte. Tra voragini e montagne di macerie gli incendi si estesero, andarono in fiamme case, edifici e palazzi ubicati nella zona di via Cavour, via Cardines, via della Riviera, corso dei Mille, via Monastero Sant'Agostino.
Ai danni provocati dalle scosse sismiche ed a quello degli incendi si aggiunsero quelli cagionati dal maremoto, di impressionante violenza, che si riversò sulle zone costiere di tutto lo Stretto di Messina con ondate devastanti stimate, a seconda delle località della costa orientale della Sicilia, da 6 m a 12 m di altezza (13 metri a Pellaro, frazione di Reggio Calabria). Lo tsunami in questo caso provocò molte vittime, fra i sopravvissuti che si erano ammassati sulla riva del mare, alla ricerca di un'ingannevole protezione.
Improvvisamente le acque si ritirarono e dopo pochi minuti almeno tre grandi ondate aggiunsero al già tragico bilancio altra distruzione e morte. Onde gigantesche raggiunsero il litorale spazzando e schiantando quanto esistente. Nel suo ritirarsi la marea risucchiò barche, cadaveri e feriti. Molte persone, uscite incolumi da crolli ed incendi, trascinate al largo affogarono miseramente. Alcune navi alla fonda furono danneggiate, altre riuscirono a mantenere gli ormeggi entrando in collisione l’una con l’altra ma subendo danni limitati. Il villaggio del Faro a pochi chilometri da Messina andò quasi integralmente distrutto. La furia delle onde spazzò via le case situate nelle vicinanze della spiaggia anche in altre zone. Le località più duramente colpite furono Pellaro, Lazzaro e Gallico sulle coste calabresi; Briga e Paradiso, Sant'Alessio e fino a Riposto su quelle siciliane. Gravissimo fu il bilancio delle vittime: Messina, che all’epoca contava circa 140.000 abitanti, ne perse circa 80.000 e Reggio Calabria registrò circa 15.000 morti su una popolazione di 45.000 abitanti. Secondo altre stime si raggiunse la cifra impressionante di 120.000 vittime, 80.000 in Sicilia e 40.000 in Calabria. Altissimo fu il numero dei feriti e catastrofici furono i danni materiali. Numerosissime scosse di assestamento si ripeterono nelle giornate successive e fin quasi alla fine del mese di marzo 1909.
Luoghi di interesse artistico o culturale
Molte delle monumentali costruzioni dei centri urbani subirono numerosi danni che, pur se non irreparabili, comportarono la loro demolizione per l'attuazione dei piani regolatori redatti dagli ingegneri Borzì e De Nava. Essi previdero la realizzazione di città quasi totalmente nuove, con palazzi di modesta altezza (non più di due o tre piani, anche per quelli pubblici) e lunghe strade larghe e diritte con una pianta ortogonale. Il Piano Regolatore dell'ingegnere Luigi Borzì prevedeva, per la città di Messina, un acquedotto della portata di quindicimila metri cubi d'acqua al giorno. La città veniva inoltre delimitata a ovest dalle pendici dei Peloritani, a sud dal torrente Gazzi e dalla Zona industriale, e a nord dal torrente Annunziata.
Numerose furono le costruzioni vittima dei danni del terremoto e delle successive demolizioni:
A Messina la imponente Palazzata o Teatro marittimo, lunghissima teoria di palazzi senza soluzione di continuità affacciata sul porto (opera seicentesca dell'architetto Simone Gullì e poi ricostruita, dopo il terremoto del 1783, dall'architetto Giacomo Minutoli); il ricchissimo Palazzo Municipale, opera seicentesca di Giacomo Del Duca, incluso nella Palazzata; il palazzo della Dogana, costruito sui resti del Palazzo reale, a sua volta crollato nel terremoto del 1783; tantissime chiese, tra cui quella di San Gregorio, nella parte collinare della città sopra la via dei Monasteri (oggi via XXIV Maggio), quella della SS. Annunziata dei Teatini, opera di Guarino Guarini e la Concattedrale dell'Archimandritato del Santissimo Salvatore, ricostruita nel XVI secolo da Carlo V alla foce del torrente Annunziata, sul posto dell'attuale Museo regionale; il Duomo, ricostruito poi dall'architetto Valenti secondo le linee presunte dell'originaria struttura normanna e molti edifici pubblici; la sede della storica Università, fondata come primo collegio gesuitico al mondo nel 1548.
A Reggio Calabria la lunghissima Real Palazzina, costituita da un continuo susseguirsi di eleganti edifici napoleonici, affacciata sull'antico lungomare; l'imponente Palazzo San Giorgio (Palazzo Municipale), poi ricostruito dall'architetto Ernesto Basile; l'elegante Villa Genoese-Zerbi, esempio di barocco seicentesco della città; gli importanti palazzi Mantica, Ramirez e Rettano; moltissime chiese e basiliche tra cui il ricchissimo Duomo barocco, poi ricostruito divenendo l'edificio sacro più grande in Calabria; l'antichissima basilica bizantina della Cattolica dei Greci; le fontane monumentali sul lungomare ed un gran numero di imponenti ed importanti edifici pubblici e privati.
Le due città persero così gran parte della memoria storica legata a quella che era stata l'evoluzione urbanistica nei secoli precedenti; inoltre caserme ed ospedali in entrambe le città subirono danni gravi: all'ospedale civile, su 230 malati in ricovero se ne salvarono soltanto 29. Alcuni edifici vennero letteralmente sgretolati, come polverizzati, e la popolazione che vi abitava fu colta dal sisma nelle ore notturne e non ebbe il tempo di mettersi in salvo. Il capoluogo della Calabria fu spostato temporaneamente da Reggio Calabria a Catanzaro.
Nel porto di Reggio Calabria, la linea ferrata costiera venne letteralmente divelta, molti vagoni furono ripescati in mare.
Le ore prima del terremoto
Si narra che il giorno precedente alla sciagura fosse stato molto tranquillo, per le strade si respirava un clima di festa e nulla lasciava intuire cosa sarebbe accaduto a breve.
A Messina si era trascorsa una serata tranquilla: si festeggiava la festa di Santa Barbara, mentre al Teatro si dava la prima dell'Aida; il tenore Angelo Gamba, che interpretava Radames, morì sotto le macerie dell'Hotel Europa, insieme alla moglie e ai due figli.
A Reggio ci si compiaceva del nuovo e moderno impianto di illuminazione stradale elettrico, inaugurato solo il giorno precedente.
Prime notizie e soccorsi
Messina, sede della 1° squadriglia torpediniere della Regia Marina, si trovarono ancorate nel porto la torpediniere Saffo, Serpente, Scorpione, Spica e l'incrociatore “Piemonte”; a bordo di quest’ultimo un equipaggio di 263 uomini tra ufficiali, sottufficiali e marinai. Alle otto del mattino della stessa giornata del 28, la “Saffo”, riuscì ad aprirsi un varco fra i rottami del porto. I suoi uomini e quelli della R.N. “Piemonte” sbarcarono dando così inizio alle prime opere di soccorso. Raccolte immediatamente oltre 400 persone, tra feriti e profughi, le stesse furono successivamente trasportate via mare a Milazzo. Non fu possibile ritrovare vivo il comandante della “Piemonte”, Francesco Passino, sceso a terra nella serata precedente per raggiungere la famiglia e deceduto unitamente alla stessa a causa dei crolli. A bordo dell’incrociatore, raggiunto da alcuni ufficiali dell’esercito sopravissuti al disastro ed in accordo con le autorità civili, furono assunti i primi provvedimenti per raccogliere ed inquadrare il personale disponibile, informare dell’accaduto il Governo e chiedere rinforzi.
Allo scopo l’incarico fu attribuito al tenente di vascello A. Belleni che con la sua torpediniera, la “Spica” ed altre unità lasciò il porto di Messina, malgrado le cattive condizioni del mare, raggiungendo alcune ore dopo Marina di Nicotera da dove riuscì a trasmettere un dispaccio telegrafico. Dello stesso fu poi data comunicazione anche al ministro delle marina:
« Oggi la nave torpediniera Spica, da Marina di Nicotera, ha trasmesso alle ore 17,25 un telegramma in cui si dice che buona parte della città di Messina è distrutta. Vi sono molti morti e parecchie centinaia di case crollate. È spaventevole dover provvedere allo sgombero delle macerie, poiché i mezzi locali sono insufficienti. Urgono soccorsi, vettovagliamenti, assistenza ai feriti. Ogni aiuto è inadeguato alla gravità del disastro. Il comandante Passino è morto sotto le macerie. »
Azione del Governo e della Marina italiana e straniera
A Roma i quotidiani del pomeriggio riportavano ancora la notizia vaga di alcuni morti in Calabria per un terremoto. La prima notizia ufficiale delle vere dimensioni del disastro giunse quindi col telegramma trasmesso da Marina di Nicotera dal comandante della torpediniera Spica. Altre ne seguirono da diverse località e strutture dando un’idea approssimativa della catastrofe. Nella stessa serata del 28, riunito d’urgenza il Consiglio dei Ministri, il Presidente del Consiglio Giovanni Giolitti esaminò la situazione emanando di concerto le prime direttive del Governo.
Il Comando di Stato Maggiore dell’esercito diffuse ordini operativi mobilitando gran parte delle unità presenti sul territorio nazionale. Il Ministro della marina fece comunicare alla divisione navale in navigazione nelle acque della Sardegna, composta dalle corazzate "Regina Margherita", "Regina Elena", "Vittorio Emanuele" e dall’incrociatore "Napoli", di cambiare rotta e dirigersi verso la zona disastrata. Il Ministro dei Lavori Pubblici Piero Bertolini partì subito per Napoli da dove, imbarcatosi sull’incrociatore "Coatit", raggiunse Messina. Anche il Re e la Regina partirono il 29 per Napoli; saliti poi sulla "Vittorio Emanuele", in sosta per caricare a bordo anche materiale sanitario e generi di conforto, raggiunsero la Sicilia nelle prime ore della giornata successiva.
Ma già all'alba del 29, la rada di Messina cominciò ad affollarsi. Una squadra navale russa alla fonda ad Augusta si era diretta a tutta forza verso la città con le navi "Makaroff", "Guilak", "Korietz", "Bogatir", "Slava", "Cesarevitc". Subito dopo fecero la loro comparsa le navi da guerra inglesi "Sutley", "Minerva", "Lancaster", "Exmouth", "Duncan", "Euryalus". Il comandante russo Ammiraglio Ponomareff fece approntare i primi soccorsi prestando anche opera di ordine pubblico e facendo fucilare gli sciacalli, disperati sorpresi a frugare tra le macerie. Fra i detenuti sfuggiti alle carceri e alla morte vi erano anche gli stessi abitanti delle case crollate in cerca di qualche resto, i quali venivano passati per le armi dopo sommario processo presieduto da ufficiali che non parlavano italiano.
Dopo iniziarono ad arrivare le navi italiane che si ancorarono ormai in terza fila. Malgrado la sorpresa, nessuno se la prese più di tanto anche se, qualche tempo dopo, la stampa intervenne polemicamente.
Messe in mare le scialuppe anche gli equipaggi italiani furono sbarcati ed impiegati secondo le esigenze del caso. Il Re e la regina arrivarono all’alba del 30. Con una lancia a motore, accompagnati dai ministri Bertolini e Orlando, percorsero la costa per poi fare ritorno a bordo della loro nave. Data la gravità e le difficoltà della situazione, la regina rimasta sulla corazzata contribuì con grande impegno alla cura degli infermi mentre il Re raggiunse la terraferma per portare alle truppe italiane e straniere, impegnate nelle difficili operazioni di prima assistenza, le proprie espressioni di elogio e riconoscenza.
Le navi da guerra, trasformate ormai in ospedali e trasporti, caricati i feriti fecero poi la spola con Napoli ed altre città costiere occupandosi anche di trasferire le truppe già concentrate nei porti ed in attesa di destinazione. Cominciò l’afflusso di uomini tra cui i Carabinieri delle legioni di Palermo e di Bari e molteplici reparti dell’esercito. A chi arrivò di notte la città di Messina apparve illuminata dagli incendi che continuarono ad ardere per parecchi giorni.
La R.N. "Napoli" da Messina si trasferì a Reggio Calabria. Il suo comandante Umberto Cagni, assunto provvisoriamente il comando della "piazza" e delle operazioni di soccorso, sbarcò i marinai della nave per organizzare l’assistenza ed impiantare un primo ospedale da campo destinato alla medicazione dei feriti leggeri. Quelli più gravi furono trasportati a bordo. Il Cagni divise poi la città in varie zone assegnandole agli uomini della "Napoli" ed alle truppe dell’esercito già disponibili in loco tra cui i superstiti del 22° fanteria ed alcuni distaccamenti del 2° bersaglieri sopraggiunti nel frattempo. I marinai assieme ad alcuni nuclei di carabinieri organizzarono anche pattuglie di ronda con lo scopo di provvedere anche alle esigenze di Pubblica Sicurezza.
La stampa uscì con le prime edizioni dei giornali riportando dapprima dati sintetici e poi informazioni dettagliate con il sopraggiungere di notizie più certe e particolareggiate. L'Italia, sbalordita, seppe così che a Reggio, a Messina, interi quartieri erano crollati, che sotto le macerie di case, ospedali e caserme erano scomparsi interi nuclei familiari, malati, funzionari, guardie e soldati. Venne inoltre a conoscenza della meravigliosa gara di solidarietà internazionale apertasi tra navi straniere ed italiane per portare aiuto ai superstiti e trasportare sui luoghi colpiti dal sisma i materiali e gli uomini necessari.
Il mondo intero si commosse: capi di Stato, di Governo e Papa Pio X espressero il loro cordoglio ed inviarono notevoli aiuti anche finanziari. Unità da guerra francesi, tedesche, spagnole, greche e di altre nazionalità lasciarono i loro ormeggi e, raggiunte le due sponde dello stretto, misero a disposizione anche i propri equipaggi per provvedere a quanto necessario distinguendosi peraltro nel corso delle azioni cui presero parte.
In tutta Italia, oltre agli interventi organizzati dalla Croce Rossa e dall'Ordine dei Cavalieri di Malta, si formarono comitati di soccorso per la raccolta di denaro, viveri ed indumenti. Da molte province, partirono squadre di volontari composte da medici, ingegneri, tecnici, operai, sacerdoti ed insegnanti per portare, malgrado le difficoltà di trasferimento esistenti, il loro fattivo sostegno alle zone terremotate. Anche le Ferrovie, ormai dello Stato, inviarono proprio personale: tra questi Gaetano Quasimodo, che raggiunse Messina con al seguito la famiglia ed in particolare il figlioletto di soli 7 anni Salvatore, futuro premio Nobel per la letteratura.
Per il suo grande impegno, nel 2006, alla marina zarista è stata dedicata una via da parte del comune di Messina.
Elogi del re alle truppe e accuse della stampa al Governo
lL Re rientrato a Roma dopo aver visitato i luoghi sinistrati della Sicilia e della Calabria, ritenne opportuno indirizzare in data 5 gennaio 1909 un proprio ordine del giorno di elogio al personale italiano e straniero, sempre impegnato con grave sacrificio nell’adempimento dei compiti assegnati:
« All'Esercito ed all'Armata,
Nella terribile sciagura che ha colpito una vasta plaga della nostra Italia, distruggendo due grandi città e numerosi paesi della Calabria e della Sicilia, una volta di più ho potuto personalmente constatare il nobile slancio dell'esercito e dell'armata, che accomunando i loro sforzi a quelli dei valorosi ufficiali ed equipaggi delle navi estere, compirono opera di sublime pietà strappando dalle rovinanti macerie, anche con atti di vero eroismo, gli infelici sepolti, curando i feriti, ricoverando e provvedendo all'assistenza ai superstiti.
Al recente ricordo del miserando spettacolo, che mi ha profondamente commosso, erompe dall'animo mio e vi perdura vivissimo il sentimento di ammirazione che rivolgo all'esercito ed all'armata.
Il mio pensiero riconoscente corre pure spontaneamente agli ammiragli, agli ufficiali ed agli equipaggi delle navi russe, inglesi, germaniche e francesi che, mirabile esempio di solidarietà umana, recarono tanto generoso contributo di mente e di opera. »
In data 8 gennaio 1909 si riunì la Camera dei Deputati per esaminare alcuni provvedimenti urgenti di natura giuridica e finanziaria a favore delle località danneggiate. Accolte le misure proposte tra cui quelle inerenti nuove imposte e stanziamenti importanti da destinare alla ricostruzione, il 12 gennaio il Senato approvò a sua volta all’unanimità il progetto di legge a favore di Messina e di Reggio. Associandosi poi alle parole del Re emanò a sua volta un proprio ordine del giorno:
« Il Senato nell’intraprendere, col pensiero alla patria, l’esame dei provvedimenti intesi a risollevare le sorti delle province di Messina e di Reggio Calabria, rende omaggio e riverente plauso alle LL.MM. il Re e la Regina, a S. Maestà la Regina Madre ed ai Principi Reali, primi a portar sollievo al luogo del disastro; al Governo, all’esercito, alla nostra marina, alle Nazioni ed alle marine straniere, che con generosa abnegazione si adoprarono a riparare l’immensa sciagura che commosse tutte le genti civili. »
on mancarono comunque polemiche. Alcune testate giornalistiche, criticando i provvedimenti finanziari adottati ed in particolare l’inasprimento delle tasse, accusarono il governo di aver speso molto e destinato male i fondi raccolti in occasione dei terremoti degli anni precedenti senza peraltro portare benefici alle popolazioni danneggiate.
Altri giornali, tra cui Il Tempo, attribuirono poi ai Comandi militari gravi colpe: parziale incapacità nella gestione degli interventi di soccorso, confusione burocratica e ritardi nella distribuzione locale delle risorse, inefficienza e ritardi anche nelle azioni di recupero e riconoscimento delle salme. Ulteriori attacchi furono portati contro la Marina italiana in quanto giudicata meno sollecita e pronta ad affrontare gli eventi rispetto alla capacità ed alla funzionalità dimostrata dalle squadre navali straniere, facendo in ciò esplicito riferimento a quelle russa, inglese, francese e tedesca. Il Giornale di Sicilia lamentò anche manchevolezze nella distribuzione di vive
GLI ULTIMI TERREMOTI CHE HANNO INTERESSATO L'ARIA
Il Terremoto del 5 febbraio 1783
Il 5 febbraio del 1783 alle 12h 00’ ebbe inizio un periodo sismico durato più di tre anni, con attività massima nei giorni 5, 6 e 7 febbraio, 1° e 28 marzo e centinaia di scosse minori. Gli epicentri, inizialmente in Aspromonte, si spostarono, in due mesi, nei golfi di S.Eufemia e di Squillace interessando una vasta area tra la Sicilia, la Costa Amalfitana ed il Salento.
Le scosse dei primi giorni provocarono effetti devastanti nel versante tirrenico dell’Appennino Calabrese tra i piani dell’Aspromonte e la piana di Gioia Tauro, danni gravissimi a Scilla e Messina e furono avvertite in una vasta area fino a Matera.
I numerosi eventi sismici, la loro intensità e durata causarono estesi sconvolgimenti degli assetti dei suoli e del sistema idrogeologico (ingenti frane, scoscendimenti, scivolamenti, crolli, distacchi e fenomeni di liquefazione) . Gli effetti più sconvolgenti, in Aspromonte e nella Piana di Gioia Tauro, provocarono movimenti di scivolamento e di stacco di intere colline che, precipitando nei fondo valle, trascinarono centri abitati e ostruirono numerosi corsi d’acqua determinando la formazione di laghi. Sul litorale, nei pressi di Scilla, si innescò un’enorme frana di crollo con un esteso fronte di distacco e di profondità che fece precipitare in mare una parte del Monte Campallà.
Le scosse del 5 e 6 febbraio furono seguite da grandi ondate di maremoto( alte da 6 a 8 metri) che a Scilla travolsero le barche, le baracche e le tende che ospitavano la popolazione rifugiatasi sulla spiaggia in seguito al sisma del giorno precedente. A Nicotera, Roccella Jonica, Roccelletta , Gioia Tauro, il mare allagò le spiagge e i campi, mentre a capo Rizzuto, Le Castella e Catona si ebbe l’effetto del ritiro e apertura delle acque del mare.
Il Terremoto dell’8 settembre 1905
Il terremoto si manifestò alle 01h43’con maggiore violenza nelle zone dell’alto Tirreno comprese tra Cosenza, Vibo Valentia, Capo Suvero e Capo Vaticano, provocò danni nelle isole Lipari, in provincia di Messina e di Reggio e fu avvertito in maniera sensibile nella Sicilia Orientale.
In numerosissime località, soprattutto tra il monte Poro e il Golfo di S.Eufemia, si verificarono fessurazioni del terreno,scoscendimenti ed estesi movimenti franosi. In quasi tutta la Regione, soprattutto in provincia di Catanzaro e nella parte settentrionale della provincia di Reggio Calabria, si notarono variazioni di portata e aumento di temperatura dei corsi d’acqua e delle sorgenti, e comparsa di polle d’acqua, e nella valle del Drago, presso S. Sisto dei Valdesi, un’importante eruzione di fango.
In concomitanza con la scossa principale si avvertirono effetti di maremoto sia in mare aperto tra le isole Eolie che sulle coste calabresi dove l’ondata sommerse il tratto di spiaggia tra Vibo Marina e Tropea e i litorali di Scalea e Catanzaro marina.
Il Terremoto del 28 dicembre 1908
La natura del Sisma …
Il 28 dicembre 1908 alle 5h 20’’ ora locale venne registrato dai sismografi di 103 stazioni mondiali un violentissimo sisma pari al 10° di intensità della Scala Mercalli, con epicentro nello Stretto di Messina. Il sisma, ondulatorio, sussultorio e vorticoso, ebbe esiti di distruzione e morte in tutta l’ Area geografica dello Stretto e fu considerato a tutti gli effetti “catastrofico” dagli scienziati di tutto il mondo. La scossa più violenta, durata 36”, rase al suolo le Città di Messina e di Reggio Calabria e tutti i centri minori, da Palmi a Melito Porto Salvo, sulla costa calabrese e da Punta Faro a Taormina su quella sicula.
L’Osservatorio Sismografico di Firenze registrò la scossa tellurica alle ore 5h21’24”; l’osservatorio di Rocca di Papa (Roma) alle ore 5h21’31”; la scossa fu registrata anche ad Edimburgo (Gran Bretagna); a Kiev (Ucraina); a Melbourne (Australia); a San Francisco (USA); a Tortosa ( Spagna); ad Ottawa (Canada), Monaco (Germania), Tokio (Giappone).
Si può affermare che il terremoto calabro-siculo del 28 dicembre 1908 ha tutti i requisiti per classificarsi di Natura Tettonica.
I superstiti dichiararono che il sisma iniziò con un rombo tremendo come di mille cannoni che sparassero contemporaneamente e che ad una forte scossa in senso sussultorio, dopo breve intervallo (circa 10”) ne seguì un’altra ancora più forte in senso ondulatorio e che al termine di quest’ultima ne seguì un’altra in senso vorticoso, la più lunga e la più disastrosa, che portò quasi al completo crollo di tutti gli edifici . Gli oggetti rimasti intatti furono trovati spostati di alcuni gradi su se stessi.
Il 10° della Scala Mercalli era allora considerato il massimo dell’ intensità che può raggiungere un sisma. Dopo quest’evento il Prof. Mercalli, docente di Scienze Naturali e Geografia presso il Regio Liceo-Ginnasio “T. Campanella” di Reggio Calabria, portò da 10 a 12 i gradi della sua classificazione sismica, definendo il 12° “catastrofico”.
Venne classificato anche il “moto vorticoso”, che si genera quando la componente orizzontale (scossa ondulatoria) si incontra con la componente verticale (scossa sussultoria); la somma delle due direzioni, l’orizzontale con la verticale, provoca un movimento “vorticoso” che fa crollare tutto ciò che incontra su tutta l’area epicentrale.
Il terremoto del 1908 segnò un punto importante anche nella storia della legislazione italiana riguardante i vincoli antisismici; in base alle relazioni delle varie commissioni governative, tra cui quelle del Ministero dei Lavori Pubblici fu redatto il primo Testo Unico delle Leggi che regolano le norme edilizie antisismiche
Il Maremoto
Ad aggravare la già devastante situazione si aggiunse un altro fenomeno naturale, il “Maremoto”, che ebbe una violenza tale da causare un numero di morti superiore a quello prodotto dal sisma, rase al suolo fabbricati, inabissò la banchina del porto di Reggio, aprì fenditure larghe e profonde dai 7 agli 8 metri di lunghezza nelle zone più colpite, abbassò il livello della spiaggia su tutto il litorale, fino a farlo addirittura sparire in alcuni tratti.
Vi furono tre ondate colossali, la più alta delle quali dell’altezza di 20-30 metri, i cui effetti si propagarono, sia pure in modo lieve, dalle spiagge di Siracusa fino a Palermo.
Il maremoto ebbe la maggiore violenza a Pellaro, dove la costa arretrò di 70 metri, a Gallico dove la spiaggia perse oltre 10 m di larghezza, a Cannitello dove le ondate, la maggior parte dell’altezza di 6-10 metri, fecero scomparire i fabbricati, inabissando perfino le macerie degli edifici distrutti dal terremoto e inghiottendo i superstiti che cercavano la salvezza lungo il litorale.
Furono addirittura trovati alcuni cadaveri reggini sulla spiaggia di Siracusa, trasportati dalle onde anomale.
I geologi e il ponte sullo stretto di Messina : Mario Tozzi
I geologi italiani saranno presto chiamati a un deciso pronunciamento sulla massa di grandi opere che stanno per abbattersi sul nostro disgraziato Paese: porti, metropolitane, ferrovie ad alta velocità, ma soprattutto strade, autostrade e ponti, di cui sembra ci sia un gran bisogno per adeguarsi all'Europa e ammodernarsi. Ma è davvero così ? Abbiamo bisogno di queste grandi opere ? I dati "oggettivi" e il contesto ci permettono forse altre posizioni più pertinenti alla professionalità e alla coscienza del geologo ?
In Italia ci sono 308.000 km di strade "ufficiali" (quelle che una volta erano di pertinenza ANAS) su 300.000 kmq di superficie, senza contare tutti i chilometri di strade non censite, che porterebbero a raddoppiare quella cifra fino al rapporto di 2 km lineari di strade per ogni kmq di territorio, rapporto che non sembra avere pari in alcun paese del mondo. Ma teniamo per buona la cifra ufficiale e compariamola ai chilometri di autostrade (teniamo fuori per il momento le superstrade, quelle con almeno 4 corsie separate da barriera centrale) in esercizio: in Italia risultano circa 23 km di autostrada ogni 1000 km di strada "normale", mentre nel resto d'Europa il rapporto è 13 a 1000: per quale ragione dovremmo avere bisogno di nuove autostrade quando ne abbiamo già quasi il doppio degli altri ? Più strade significa più traffico --e non il contrario, come qualcuno contrabbanda-- e infatti in Italia ci sono 53 autoveicoli ogni 100 abitanti, contro la media europea di 42, e l'81% della mobilità è soddisfatta da veicoli privati. E questo è anche il motivo per cui le nostre strade e autostrade sono quasi sempre sede di lavori in corso più che altrove: qui da noi su ogni chilometro insistono 80 autoveicoli, contro i 40 dell'Europa e i 42 degli Stati Uniti. Certo, l'Italia è un paese densamente abitato ed è un paese montuoso, ma non sarebbero questi motivi sufficienti per impegnare ogni lira possibile per ridurre il traffico su gomma e per risanare la rete viaria già esistente ?
Se per caso volete recarvi in automobile da Maastricht a Mazara del Vallo --su tutta la lunghezza d'Europa-- troverete mancanti solo 50 km, quelli fra Messina e Palermo, ammesso che si voglia chiamare autostrada il tratto siciliano restante e che si voglia considerare decente la Salerno - Reggio Calabria, priva di terza corsia, perennemente interrotta per lavori e priva di corsia d'emergenza. Un ponte supermoderno che unisca queste due mulattiere non sembra proprio l'ideale per muoversi in sicurezza e per utilizzare al meglio il denaro, specie in un Paese in cui ci sono già decine di opere incompiute rimaste a metà.
Come geologo, di dubbi sul costruendo ponte sullo stretto di Messina ne coltivo più di uno: dallo stato di dissesto idrogeologico in cui verseranno le aree che dovrebbero fare da spalla al ponte ai problemi di natura sismica, e voglio dire ad alta voce che il ponte è brutto e inutile e forse pericoloso, che è profondamente diseducativo per tutto quello che riguarda i rapporti uomo-natura, che è eticamente riprovevole e politicamente fariseo, che difende interessi di corporazione e che offre dubbi benefici rispetto agli elevatissimi costi. E che tutto questo non dipende dalla parte politica che lo ha proposto --lo hanno fatto tutti, da Craxi a Rutelli a Nesi a Berlusconi--, ma solo da intelligenza e buon senso.
Se non avete mai saputo raffigurarvi un impatto ambientale e paesaggistico negativo, immaginate un ponte lungo tre chilometri e mezzo e largo circa 70 metri lanciato sopra uno dei mari più belli del mondo e immaginate che per sostenerlo occorrono 166.000 tonnellate di acciaio arrangiato in cavi di un metro e venti centimetri di diametro. Immaginate poi due torri enormi, alte fino a sfiorare i 400 metri (più della Tour Eiffel o dell'Empire State Building), infisse fino a 55 metri di profondità nel terreno, e che svettano rispetto alle più basse colline circostanti. Immaginate ancora le 100.000 tonnellate del ponte sospese a circa 65 metri di quota, ma non immaginatele immobili: il ponte infatti oscilla, liberamente, di circa 12 metri in orizzontale e 9 in verticale (nel settore centrale) per resistere ai venti che, nello stretto, possono superare i 200 km/h. L'unica cosa che potrebbe evitarvi di sentirsi in un flipper nella parte della pallina è che qualcuno chiuda il ponte al traffico tutte le volte che c'è vento troppo forte: cioè la struttura può resistere, in teoria, a raffiche fino a 270 km/h, ma in quei casi deve essere interdetta. Non è un fatto raro, lo stesso, modernissimo, Millennium Bridge, a Londra, è stato chiuso per il vento. Si stima che situazioni del genere possono portare (come qualche volta accade anche sui viadotti delle autostrade per i mezzi telonati) all'interruzione del traffico per circa 50 o più giorni all'anno, e, per contro, si è certi che il traffico marittimo sullo stretto viene interrotto solo in rarissimi casi.
Ma ci sono considerazioni di carattere etico che vanno necessariamente messe in luce e che i geologi sono obbligati a fare. E' ormai ora di tracciare un limite netto al diritto dell'uomo di imporre modifiche definitive all'ambiente che lo circonda, specie se queste hanno un impatto elevato e, in ultima analisi, danneggiano anche la razza umana. In altre parole chi si prende la responsabilità di unire qualcosa che la storia naturale ci presenta divisa ? Chi decide che i nostri figli e nipoti dovranno accettare un'opera come quella ? Quale giustizia intergenerazionale ci manderebbe assolti dall'aver modificato per sempre uno spazio naturale, storico e mitologico che poteva essere goduto anche dai nostri discendenti così come era pervenuto a noi ? Non siamo più al tempo dei Romani, che un ponte comunque lo gettavano sempre (pontefice era chi lo costruiva e lo difendeva), sono passati i tempi in cui le grandi opere erano dettate da bisogni reali e gli uomini erano ancora in pochi a vivere in ecosistemi sostanzialmente sani ed equilibrati. E non è neppure un problema tecnologico: se lo fosse fra qualche decennio potremo sperare di unire Olbia a Civitavecchia, o --perché no-- Genova a Tunisi, restaurando quei ponti continentali che secondo i geologi del secolo scorso spiegavano le grandi migrazioni di animali, prima che si scoprisse che erano i continenti a essere andati alla deriva. Il problema è: serve un'opera come questa, oggi, in Italia ?
La potente lobby di neo-futuristi e ingegneri italiani è già all'opera da anni sulla questione stretto e grandi opere in genere: alta velocità, autostrade, dighe e quanto altro possa alterare il volto naturale di un paese la cui vocazione non può essere quella industriale, ma quella turistica e naturalistica, dove dovrebbe prevalere la mentalità del recupero e del riciclaggio e non dell'asfalto e del cemento. E se solo una parte dei cittadini italiani ritenesse il ponte non solo inutile e dannoso (come cercherò di dimostrare), ma anche brutto ? Chi tutela i diritti estetici delle popolazioni ? Non siamo stanchi di ponti, viadotti, tunnel, autostrade il cui unico risultato è quello di incrementare il traffico su gomma ? L'entusiasmo onanistico della corporazione ingegneristica di fronte al sogno fallico del ponte è ormai palmare: si arriva a proporlo come ottava meraviglia del mondo e a paragonarlo ai più famosi ponti nord-americani di San Francisco o New York, senza curarsi dell'area metropolitana degradata da incubo che si verrebbe così a creare fra Reggio Calabria e Messina, senza studiare la realtà naturale ricca e complessa dell'area dello stretto, senza preoccuparsi del tessuto sociale.
Non parliamo poi del contesto storico e mitologico (come ha giustamente messo in luce il Sottosegretario ai Beni Culturali Vittorio Sgarbi), oltre che naturalistico - ambientale, sfregiato per sempre da una "spada" di acciaio e cemento che cadrà in rovina in un paio di secoli al massimo. La domanda giusta è quella che si è posta Montanelli: come si fa a non essere in disaccordo ? Il concetto stesso di isola per i siciliani verrebbe così a cambiare radicalmente, con tanti saluti a Sciascia, Bufalino e a tutti quelli che dell'isola fanno anche una ragione di orgoglio, senza per questo essere separatisti. Come poi se il paesaggio statunintense --dagli orizzonti caratteristicamente smisurati-- abbia qualcosa da spartire con quello mediterraneo.
Oltre a quelli appena citati, un argomento cruciale che impedisce oggettivamente di essere a favore della costruzione del ponte sullo stretto di Messina è, insieme a quello geologico, quello economico-finanziario, cioè il rapporto fra costi e benefici assolutamente non conveniente.
Gli studi più recenti di questo tipo riguardano i trasporti passeggeri, ma basta farsi due conti per vedere quanto tempo effettivamente si guadagnerebbe nell'attraversamento aereo dello stretto rispetto a quello marino. L'ipotetico viaggiatore che da Palermo volesse raggiungere in treno Roma (attualmente 13 ore) o Milano (18 ore) risparmierebbe, se tutto va bene, circa 1 (una) ora, un lasso di tempo sicuramente prezioso, ma nulla al confronto di quello che ci si guadagnerebbe a rifare prima la rete ferroviaria siciliana, che viaggia spesso a un solo binario, e che permette al collegamento Ragusa - Messina la straordinaria media di 40 km/h (circa 5 ore per coprire i 200 km di distanza): raddoppiando la tratta e dimezzando i tempi ci sarebbe un guadagno --quello sì vero-- di oltre 2 ore e mezza. Da Palermo a Messina il raddoppio della strada ferrata porterebbe un risparmio di circa 1 ora e mezza: meglio questo in poco tempo o l'ipotetica ora in 15 anni, se va bene ?
C'è poi un problema particolare per l'attraversamento ferroviario: nel luglio 1996 Aurelio Misiti, il principale responsabile tecnico del progetto (ex presidente del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, oggi assessore calabrese), aveva dichiarato in un'intervista: "Bisogna sapere che l'attuale progetto è inadeguato. Sappiamo benissimo che attualmente nel mondo il ponte più lungo a una campata è quello di Akashi, in Giappone, dal quale per diverse ragioni è stata tolta la ferrovia". Cioè non esiste ancora al mondo un ponte a campata unica superiore a 1500 m percorso da treni e quello di Messina, di metri, ne dovrebbe misurare 3360. E per favore qui ci si risparmino le "opere che illustrano l'ingegno italiano nel mondo", o le "sfide alla natura e alle leggi dell'uomo", che, se ci mettiamo a esaminarle una per una, c'è da far tremare le vene dei polsi (pensiamo alla diga di Assuan, al traforo del Gran Sasso, al Vajont, tutti casi in cui non si è tenuto conto del contesto in cui le opere andavano inserite). La storia insegna che quando l'uomo sfida la natura --invece di tentare una convivenza armonica-- ci rimette sempre.
E in automobile ? Se non ci sono date particolari, week-end e italiche ferie --attualmente-- ci vogliono 25 minuti per attraversare materialmente lo stretto di Messina in traghetto, poi bisogna considerare le attese per il biglietto e per la coincidenza, in tutto circa 35'-40'. L'attraversamento aereo via ponte ridurrebbe i tempi da 25' a circa 5' (se non vogliamo correre), ma non ci sarebbe comunque verso di eliminare code e file --nei giorni clou-- perché il pedaggio da qualche parte lo si dovrebbe pagare e in fila ci si dovrebbe mettere lo stesso, esattamente per gli stessi tempi. Vale la pena di costruire un'opera da 20.000 miliardi complessivi per risparmiare 20 minuti ?
Ma poi c'è il pedaggio, questione che nessuno riesce a chiarire. Quello che è sicuro è che, oggi, per passare da Reggio a Messina (e ritorno) si pagano circa 35.000 lire per veicolo, a prescindere dal numero dei passeggeri, e che, in treno, non si paga alcun supplemento rispetto al biglietto. Quanto ci costerà domani passare attraverso il ponte ? Tutto dipende dai tempi di concessione ai privati che lo stato dovrebbe fare dell'opera: su 100 anni per esempio si potrebbero tenere i prezzi bassi quasi come quelli di oggi, ma le stime serie vengono fatte su 50 anni, perché nessun privato può aspettare tempi così lunghi per ammortizzare le spese.
In questo caso il biglietto costerebbe già 54.000 lire per veicolo e ci vorrebbe un sovrapprezzo di 10.000 lire per ogni passeggero in treno; non risulta chiaro, però, se si tratti di andata e ritorno oppure no. Però le leggi europee impongono che le concessioni non superino i trent'anni e qui cominciano i guai, anche nella prevista ottica del project financing. In questo caso, il ponte non costerebbe una lira allo Stato, e verrebbe interamente finanziato da un "pool" di privati che poi rientrerebbero dell'investimento ottenendo in concessione i pedaggi. Ma qui bastano pochi conti per verificare che le ottimistiche affermazioni di rapidi rientri economici sono quanto meno azzardate: prendendo come riferimento gli attuali flussi di traffico dei passeggeri e delle merci e le tariffe dei traghetti, e immaginando che il 100% degli attraversamenti si spostino dal mare al ponte, solo per coprire il 50% del costo prevedibile del ponte e delle vie d'accesso, bisognerebbe prevedere una concessione di 100 anni ai finanziatori dell'opera, se vogliamo lasciare inalterati i prezzi. Ma un tempo così lungo, come si è visto, non è possibile né conveniente per chi investe.
Aurelio Misiti ha dichiarato ("la Repubblica", 11/09/1997): "Quindici anni di concessione sarebbero sufficienti con medie di traffico bassissime, diecimila auto al giorno, a recuperare l'investimento e a guadagnare". Alcune organizzazioni ambientaliste (Legambiente) hanno provato a verificare l'attendibilità di tali dichiarazioni: sono stati presi in considerazione gli attuali flussi di traffico lungo lo stretto e le tariffe in vigore per il passaggio di auto, camion e treni fissando ipoteticamente il costo dell'infrastruttura a 8000 miliardi. Sono stati prese in considerazione anche le infrastrutture necessarie per il collegamento con le autostrade, stimando il costo totale in 12.000 miliardi (1998).
La possibilità di realizzare l'opera in regime di project financing è credibile se si considera una durata della concessione ultradecennale e il pressoché totale assorbimento del traffico su traghetti dalla data di inaugurazione dell'infrastruttura. Per questo motivo devono essere calcolate tariffe sostanzialmente analoghe a quelle attualmente in funzione sui traghetti (il caso dell'Eurotunnel sotto la Manica dimostra che tariffe più alte di quelle dei vettori concorrenti hanno, soprattutto nei primi anni, un effetto vistoso di contrazione dei passaggi). Nel calcolare la percentuale di copertura dei costi da parte di investitori privati sono state operate diverse proiezioni di durata della concessione indicizzando tariffe e costi. In particolare sono stati considerati i seguenti parametri: un quantitativo di passaggi l'anno identico a quello esistente, il totale trasferimento sull'infrastruttura di tutti gli attuali passaggi su traghetti, tariffe per il passaggio pari a quelle esistenti e un costo totale dell'infrastruttura di 12.000 miliardi. Gli scenari a questo punto possibili sono: 1) concessione decennale: in questo caso la copertura del costo con investimenti privati può oscillare da un minimo del 10% ad un massimo del 15%; 2) concessione quindicennale: la copertura del costo per investimenti privati può oscillare da un minimo del 15% ad un massimo del 25%; 3) concessione cinquantennale: la copertura del costo è intorno al 50%.
Proviamo a prendere in considerazione invece i dati citati da Misiti ("la Repubblica" 11/09/1997) e consideriamo quindi un flusso di 10.000 passaggi al giorno, 15 anni di concessione e una spesa complessiva di 8.000 miliardi. Quindici anni equivalgono a 5475 giorni, per recuperare gli 8.000 miliardi di lire investiti deve essere quindi previsto un attivo giornaliero netto di un miliardo e quattrocentosessanta milioni (escluse le spese per il personale, l'ordinaria amministrazione, ma soprattutto non considerando gli interessi sull'enorme massa di denaro investita). Considerando 10.000 passaggi al giorno, per ognuno si dovrebbe prevedere una tariffa di circa 140.000 lire. Anche ipotizzando carichi di traffico maggiori, e una tassa sul passaggio dei treni, appare difficile che l'investimento possa essere realmente recuperato in quindici anni. Ma soprattutto, se realmente la tariffa per il passaggio dovesse essere di 140.000 lire, il ponte subirebbe la concorrenza di traghetti e aerei, con gli effetti economici sul ritorno finanziario dell'intera operazione già verificati negativamente nel caso dell'Eurotunnel sotto la Manica. Tutto questo per un opera che non è "per sempre", ma la cui vita è assicurata solo per 200 anni: e dopo ? E infine: perché qualcuno dovrebbe pagare quasi quattro volte di più di quanto non si faccia oggi ?
Come si è visto, molto dipende dai volumi di traffico stimati, ma qui torniamo nel campo delle opinioni: oggi sul ponte potrebbero transitare 10.000 veicoli al giorno, siamo sicuri che domani ne transiterebbero 100.000 ? Su quali basi qualcuno prevede un incremento del 250% delle merci e del 170% dei passegeri ? E non sarebbe da folli --nel caso di effettivi incrementi di quel genere-- continuare a mandare i TIR da Genova a Palermo sull'autostrada invece che via mare ? Si può far sommessamente notare, inoltre, che un cavallo vapore marino trasporta 4000 kg di merci, mentre uno terrestre solo 150 e che, quindi, è palesemente sconveniente ? Non sarebbe poi un colpo mortale inferto al cabotaggio siciliano, che dovrebbe essere un pilastro economico di quella che resta pur sempre un'isola ?
A ciò va aggiunto che molti passeggeri non saranno sicuramente presenti all'appello, anzi, mancheranno proprio i paseggeri più regolari, quelli a cui il ponte avrebbe dovuto fare un gran favore, cioè gli abitanti di Reggio Calabria, Villa San Giovanni e Messina che avrebbero gli accessi alle rampe del ponte talmente lontani dai rispettivi centri abitati da dover preferire comunque e sempre i traghetti o gli aliscafi. Il ponte non è sicuramente un'alternativa valida per il traffico locale.
In ultimo è curioso constatare come i costi del ponte crescano di anno in anno, dai quasi 5000 iniziali agli attuali 12.000 ai probabili 21.000 nella fase di realizzazione: ha senso spendere tutti questi denari in questo tipo di opere quando con 500 miliardi si potrebbero risistemare i traghetti pubblici e privati e con circa 2000 miliardi costruire un sistema integrato multimodale di trasporto che avrebbe un impatto ambientale ben inferiore ?
Infine, possiamo discutere che il ponte sia pericoloso, ma siamo certi che --in caso di sisma-- sarebbe quantomeno inutile. Appena tre anni fa è caduto il novantesimo anniversario del più forte terremoto mai subìto, a memoria d'uomo, dall'intero bacino del Mediterraneo. Reggio Calabria e Messina furono rase al suolo da un sisma (XI-XII grado della scala Mercalli) che fece oltre 80.000 morti e successivamente invase da onde di marea alte come palazzi. Siamo sicuri che il rischio di costruire una struttura del genere nella zona a più elevata sismicità del Mediterraneo sia sufficientemente basso ? Reggerà un ponte che è stato commisurato a magnitudo 7,1 Richter, tenendo presente quel terremoto del 1908, visto che --non essendoci al tempo rilevamenti strumentali adatti-- si tratta di una stima indiretta e che, quindi, la scossa prossima ventura potrebbe essere 7,2 o 7,5 ? Il terremoto umbro-marchigiano del 1997 ci dice che forse non conosciamo abbastanza di sismi: e se non siamo stati in grado di prevedere una "coppia sismica" dove prima non c'era mai stata, che ne sappiamo che il prossimo terremoto tra Reggio e Messina sarà 7,1 e non più dannoso ?
E --infine-- che ce ne facciamo di un ponte che rimane in piedi se il terremoto è veramente "solo" 7,1 Richter ? Invece di unire due future aree cemeteriali --quello che diventerebbero Reggio e Messina-- non sarebbe meglio spendere prima quelli e altri denari (pubblici e privati, occupazione e profitti, di questo si tratta, sarebbero comparabili) nella ristrutturazione di città che hanno solo il 5% antisismico ? Quali sono le priorità dettate dal buonsenso ?
La Sicilia nord-orientale e la Calabria meridionale sono davvero le regioni a più alto rischio sismico dell'intero Mediterraneo. A partire dal IX secolo, quest'area è stata colpita da almeno 13 terremoti d'intensità superiore al VII grado della scala Mercalli. Inoltre, sul quadro geologico dello stretto di Messina esistono tuttora discordanti interpretazioni: sulla genesi stessa dello stretto è in corso da anni un acceso dibattito scientifico, e persino la faglia del terremoto del 1908 resta da definire con certezza sul versante calabrese. Per quanto riguarda la vulnerabilità strutturale del ponte, rimane da verificare la risposta di un'opera tanto complessa e delicata ad una serie di violente scosse ravvicinate, sul modello della crisi sismica calabrese del 1753, caratterizzata da cinque scosse principali comprese tra magnitudo 5,6 e 7 della "scala" Richter e concentrate in un periodo di tre mesi.
Il ponte verrebbe poi assemblato per saldatura, procedimento meno costoso di quello con bullonatura o chiodatura a freddo, ma anche molto meno sicuro: tutti i modellini su cui sono state applicate sollecitazioni tipo sisma hanno mostrato rotture per fatica se saldati invece che bullonati. Franco De Majo (già docente di Costruzioni Ferroviarie al Politecnico di Torino) fa notare che la saldatura induce tensioni nell'impalcato che, sommate alle tensioni da carico, renderanno vulnerabile la struttura. Inoltre lo stesso De Majo mostra perplessità sui giunti di estremità (lo studio dei quali risulta "non approfondito") e sulle cerniere elastiche, a suo parere, praticamente irrealizzabili. Si dice: ma negli Stati Uniti e in Giappone i ponti si costruiscono, eppure sono aree sismiche. Si costruiscono, ma crollano pure, in seguito a terremoti, come accaduto a Kobe, in Giappone, nel 1995: strutture molto più basse e con decine (!) di piloni di sostegno di cemento armato piegati come burro. Per consolazione, però, il ponte sullo stretto di Messina sarebbe in grado di resistere egregiamente a un'esplosione nucleare che avvenisse fino a mezzo chilometro di distanza. Ma prima di scampare, eventualmente, al prossimo terremoto, il ponte va costruito e per farlo lo sconvolgimento idrogeologico sarebbe catastrofico. Si tratta prima di tutto di impiantare, a oltre 50 metri di profondità, due piloni alti quasi 400 metri per un totale di circa 500.000 metri cubi di cemento. Per fabbricare tutto quel cemento poi, ci vuole il calcare che deve venire dal più vicino possibile, che significa aprire decine di nuove cave nell'area dello stretto con sfregio ambientale irreversibile di colline e versanti, fino allo stravolgimento vero e proprio della carta topografica del rilievo esistente.
Nello scavare le due fosse si tirerebbero fuori 8 milioni di metri cubi di terra, sabbia, ghiaia e detriti rocciosi: che ci si fa ? Dove vengono portati ? In quanto tempo e con che mezzi ? Cosa invece comporterebbe lo scavo è subito detto: l'alterazione completa di ogni equlibrio idrogeologico delle aree di appoggio, ivi compreso il prosciugamento del lago Ganzirri (nel messinese). Che gli smottamenti siano un fenomeno frequentissimo proprio in quel settore lo testimonia la recentissima frana che ha investito il treno Roma - Messina a Scilla rischiando la strage: siamo sicuri che convenga alterare quel poco che resta in equilibrio ? La messa in sicurezza (naturalistica) del territorio non dovrebbe venire prima della costruzione di qualsiasi opera ? Lo stesso approvigionamento idrico per la costruzione sarebbe un serio problema, tutto questo in un'isola in via di desertificazione dove, durante la stagione estiva, ci sono molti paesi che non hanno acqua da bere a sufficienza. Non sarà il caso di farsi sfiorare dal dubbio che ci sia un impiego migliore di tutti quei miliardi ?
C'è forse ancora un piccolo margine di riflessione per chi non si rassegna a quella che sembra sempre di più un'inutile e male indirizzata opera dimostrativa, sotto qualsiasi latitudine politica la si osservi. Se i dubbi di natura tecnica e scientifica sono così tanti, se il buon senso è venuto drammaticamente a mancare e tutti sono solo abbagliati dal miraggio di un'opera meramente dimostrativa, e, soprattutto, se non ci sono evidenti benefici di tempo e vantaggi di traffico e, anzi, si stornano risorse utili altrove, ma allora a cosa e a chi serve il ponte sullo stretto di Messina ?
RISCHIO SISMICO ELEVATO: LE CAUSE ED I RIMEDI
PER LA MITIGAZIONE DEI DANNI E LA MESSA IN SICUREZZA DELLE POPOLAZIONI
Convivere con il terremoto evento legato alla storia ed alla costituzione geologica
Cento anni fa, a causa del terremoto del 23 ottobre del 1907, crollava uno dei monumenti nazionali esistente in Calabria: la “Torre delle cento camere”. Al momento del crollo la Torre si trovava ad una distanza di centinaia di metri dal mare vicino al tracciato ferroviario di Gerace Marina e da alcuni autori era paragonata al tempio di Giove Serapide di Pozzuoli per la testimonianza delle oscillazioni del mare sulla costa Jonica calabrese.
La ricorrenza dell’evento, meno noto del ben più grave terremoto del 1908 ma significativo della sismicità del territorio calabrese, stimola qualche riflessione per il recupero della memoria storica e utile per la messa in sicurezza delle popolazioni.
I terremoti, come alluvioni non sono eventi dovuti alla fatalità, ma sono dati legati alla storia ed alle caratteristiche geostrutturali della Calabria. A differenza del resto della catena appenninica, l'Arco Calabro è costituito da antichissime rocce cristalline come i graniti e sottoposte, da milioni di anni, a movimenti vari e sollevamento dell'ordine di molti centimetri all'anno. I connotati del paesaggio calabrese sono segnati da enormi fratture a Graben ed Horst legate a imponenti processi di geotettonica ancora in atto; processi di rapida trasformazione con terremoti, tsunami, alluvioni e frane che, tra l’altro, da sempre rendono difficile il “governo del Territorio”.
L'alta sismicità della Calabria in pratica è una delle manifestazioni dei rapidi processi di evoluzione geologica in atto nella regione e nel centro del Mediterraneo.
E poiché i processi geologici, com'è noto, durano milioni di anni, è evidente che terremoti distruttori (come ad. es. quelli del 1638, 1783, 1888, 1905, 1908 che hanno gravemente colpito tutti i 409 comuni della nostra regione) continueranno a scuotere la Calabria ancora per molto tempo. Così com'è altrettanto evidente che più ci si allontana dall'ultimo forte evento sismico, più aumentano le probabilità del suo ripetersi.
L'elevata sismicità, le condizioni di degrado del patrimonio edilizio (la Calabria è la regione italiana con il patrimonio edilizio più degradato e meno resistente alle sollecitazioni prodotte dai sismi), il dissesto idrogeologico e, non ultima, la carenza di adeguati Piani comunali di Protezione Civile, sono i fattori che rendono estremamente elevato il rischio sismico in Calabria.
È buona norma pensare al terremoto quando non c’è, si legge nel libretto pubblicato venti anni fa dalla regione Calabria col titolo “Per convivere con il terremoto”.
La norma non è stata e continua a non essere rispettata nei comuni della regione a più elevato rischio sismico d’Italia. E così restano da mettere in sicurezza molti edifici pubblici ed in particolare molte delle scuole dei 409 comuni della Calabria.
Il ritardo negli interventi di mitigazione e nell’adeguamento delle aule a rischio è stato sottolineato anche dal Capo della Protezione Civile Bertolaso che, per il decennale del terremoto di San Giuliano di Puglia , rende noto come “ad oggi solo il 10% delle scuole nei Comuni ad alto ed altissimo rischio sono da considerarsi sicure.” "In Italia ci sono quindicimila scuole dove studiano 8 milioni di bambini e ragazzi che si trovano in zone ad alto e altissimo rischio sismico - sottolinea Bertolaso - La loro messa in sicurezza è una priorità".
Nella regione Calabria il numero degli edifici considerati a rischio è di circa 1800 dei quali oltre mille ricadenti in comuni classificati nella zona di massima pericolosità.
In proposito va considerato che la più recente normativa antisismica suddivide il territorio nazionale nelle seguenti categorie:
Zona 1 - E' la zona più pericolosa, dove possono verificarsi forti terremoti. Comprende, in tutta l’Italia 708 comuni. Di questi a maggior pericolo circa un terzo, esattamente 261 comuni, sono in Calabria.
Zona 2 - Nei comuni inseriti in questa zona possono verificarsi terremoti abbastanza forti. Comprende complessivamente 2.345 comuni dei quali 148 della Calabria.
Zona 3 - I Comuni interessati in questa zona possono essere soggetti a scuotimenti modesti. Comprende 1.560 comuni.
Zona 4 - E' la meno pericolosa. Nei comuni inseriti in questa zona le possibilità di danni sismici sono basse. Comprende 3.488 comuni.
In pratica, i comuni della Calabria ricadono tutti nella prima e seconda zona, e, quindi, nelle due più pericolose.
Ma c’è di più: l’introduzione della nuova normativa, tra l’altro, ha comportato il passaggio nella zona a più elevata pericolosità di 114 comuni, come ad esempio Cosenza e Lamezia Terme, che con la precedente legge del 1984 erano classificati di seconda categoria.